sabato 28 giugno 2014

Felice Casorati e la pittura del silenzio di Massimo Capuozzo

Giocattoli su un tappeto, abiti a terra, libri, scodelle per apparecchiare una tavola, pavimenti a scacchiera, sedie come troni reali, porte chiuse. Oggetti della realtà quotidiana sbalzati in ambienti di un soffocante silenzio.
Oggetti, non simboli di una scenografia misteriosa, né allusioni incomprensibili ad un mistero oscuro, nature morte che chiudono ermeticamente fuori l'esterno e vivono immobili ed incantate in interni avvolti da un'atmosfera sospesa e indefinita. Sembrerebbe un fraseggio adatto a De Chirico, ma in questo caso non c’è nulla a che vedere con l'enigma e il mistero, con quello stato intermedio tra il sonno e la veglia in cui sorgono quasi spontanee le immagini di Giorgio De Chirico.
Gli oggetti che dipinge sulla tela Felice Casorati (1883-1963), figura di punta dell'avanguardia intellettuale del primo Novecento, padre di quel realismo magico che conferì un tocco di audace e raffinata sperimentazione nell'ondata del ritorno all'ordine, sono semplici oggetti.
Sono davvero giocattoli quelli disposti sul tappeto della bambina, non c'è nessun mistero da scoprire in quegli oggetti che amplificano solo la solitudine dell'attesa. E non c'è racconto né possibilità di svolgimento narrativo o di epilogo che giunga a risolvere la situazione, a sciogliere in ritmo più accostabile quella nota troppo trattenuta, quella tensione senza tregua. La metafisica di Casorati è la metafora della metafisica del museo: nello spazio della tela, figure e oggetti sperimentano il tempo assoluto non relativo, istituito dai capolavori. E al museo rimandano le memorie quattrocentesche della Silvana Cenni, de Le due sorelle o della scandalosamente blasfema fanciulla addormentata nella stessa prospettiva di scorcio del Cristo morto, ma è soltanto una ridondanza, il segno palese della volontà del pittore di inserirsi nella continuità, di riconfermare la sua appartenenza a una civiltà antica, di straordinaria ricchezza e fecondità. La stessa sulla quale andavano riflettendo anche gli altri artisti, italiani ed europei, nell'ambito di quella generale riscoperta dei fondamenti culturali che sono alla base del Ritorno all'ordine.
È questo il segreto dell'arte di Casorati che voglio raccontare, durante la sua lunga carriera, dagli esordi secessionisti di inizio Novecento alle composizioni neoquattrocentiste, dal realismo magico alle nature morte che ricordano inequivocabilmente Cezanne degli anni Cinquanta.
La parabola artistica di Casorati fu complessa ed il maestro sperimentò e seppe metabolizzare in un linguaggio del tutto personale, quasi tutti i più significativi momenti creativi della prima metà del secolo, attraversando, in un primo momento, varie fasi poetiche in chiave secessionista, al seguito di un apprendistato veneziano strettamente legato al Gruppo di Cà Pesaro, al fianco di Martini e Rossi, e torinese del gruppo di Rivoluzione liberale, in stretta sinergia col critico Piero Gobetti (1901 – 1926), quando mise a fuoco una ricerca cromatico-lineare e un figurativismo idealizzante a metà tra il romanticismo virtuosistico dei preraffaelliti e l'esuberanza suggestiva di Klimt.
Felice Casorati, discendente di una famiglia di matematici e di scienziati di fama, nacque a Novara il 4 dicembre 1883 da Francesco, ufficiale e pittore dilettante, e da Caterina Borgarelli. Nei suoi primi anni di vita, a causa del lavoro paterno, la famiglia Casorati fu costretta a frequenti spostamenti, Milano, Reggio Emilia, Sassari, fino al 1895, quando il nucleo familiare si stabilì, infine, a Padova, dove Casorati compì i suoi studi.
Molto dedito anche agli studi musicali, il diciottenne Casorati rimase vittima di un esaurimento nervoso. Durante il periodo di riposo sui colli Euganei senza l'adorato pianoforte, scoprì la pittura quando, suo padre, per consolarlo, gli regalò una grande scatola di colori.
Casorati cominciò a dipingere, eseguendo la prima opera nota, un Paesaggio padovano del 1902. I suoi lavori iniziali hanno un sapore vagamente espressionistico, per la maggior parte sono ritratti della madre e delle sorelle, eseguiti a matita ed a pastello.
Agli studi universitari Casorati accompagnava, in maniera sistematica, quelli artistici e musicali: nel luglio del 1906 si laureò in Giurisprudenza nell'università di Padova, con un’interessante tesi dal titolo Studio sulla Corte d'Assise, ma decise di dedicarsi alla carriera artistica e, prima di raggiungere la sua più nota maniera metafisica, passaggio indispensabile per la nascita del Surrealismo, visse un lungo periodo libertyRitratto di signora, un'elegante immagine della sorella Elvira, fu accolto favorevolmente e ammesso dalla Commissione Internazionale della Biennale di Venezia nel 1907.
In questo Ritratto di Signora, Casorati, allora ventiquattrenne, debuttava con un'opera aristocratica, di un registro mondano ed elegante, per il quale aveva posato la sorella maggiore, Elvira, figlia di primo letto della madre del pittore, soggetto prediletto di altri intensi ritratti, con una fisionomia particolare segnata da un imponente naso aquilino. La modella di profilo vi appare come una dama dell'alta società, in un abito nero di raso, spezzato dallo jabot di garza bianca e dal lungo guanto di pelle crema, mentre la cupola del cappello nero è inglobata nella trasparenza di un'ampia veletta bianca.
«Partecipe del gusto del passaggio di secolo –  scrive Maria Mimita Lamberti - il debuttante Casorati ne padroneggia in questa prima opera due componenti essenziali: la capacità di trarre ispirazione dai maestri antichi adattandoli alla moda contemporanea entro una matrice colta, allusa più che citata per un pubblico di sottili conoscitori; ma soprattutto la verifica del dato reale e il suo piegarsi al modello voluto dall'artista».
Nel 1908 fino al 1911 la famiglia Casorati si trasferì a Napoli, una città il cui clima esaltante lo depresse producendo sulla sua natura umana e spirituale una singolare reazione di malinconia, di tristezza, di pessimismo, ma che gli diede la possibilità di studiare a fondo l'opera di Pieter Brueghel il Vecchio, nella collezione del Museo Nazionale di Capodimonte: e sono questi gli anni di "Le vecchie" e di "La cugina" caratterizzate dalla sua intonazione prediletta, bruno-grigia, che sembra ispirarsi ad un dipinto più volte citato dalla critica come fonte casoratiana, la straordinaria Parabola dei ciechi di Bruegel.
Nel 1910 Casorati partecipò alla IX Biennale con "Le ereditiere".
In quell'anno la Biennale dedicò una grande sala individualeGustav Klimt con l'esposizione di 22 bellissimi quadri. In questa occasione il giovane pittore rimase molto impressionato dalla sala dedicata a Klimt che evolse il suo stile verso la linearità decorativa dei suoi lavori successivi, evidentemente influenzato dallo stile simbolico e decorativo della Secessione Viennese.
Dal 1911 al 1915 la famiglia Casorati si trasferì a Verona, dove il pittore lavorò intensamente. Nel 1911, Felice Casorati, scriveva «Vorrei saper proclamare la dolcezza di fissare sulla tela le anime estatiche e ferme, le cose immobili e mute, gli sguardi lunghi, i pensieri profondi e limpidi, la vita di gioia e non di vertigine, la vita di dolore e non di affanno». I lavori di questi anni riflettono opere stilisticamente affini al simbolismo secessionista di Klimt: soggetti allegorici e spirituali, la cui raffigurazione è affidata in prevalenza a figure femminili, ampio ricorso a motivi decorativi bidimensionali - vere e proprie strutture ripetitive con cui riempire lo sfondo dei dipinti, alla maniera di Klimt, appunto come  quadri come Il sogno del Melograno del 1912 o La Preghiera del 1914, fortemente connotati già nei titoli.
In questo “Sogno del melograno” del 1912, si ritrova lo stile decorativo di Klimt che Casorati rielabora in modo personale. Con il soggetto della donna dormiente in mezzo alla natura, Casorati sintetizza i due filoni principali dell’opera di Klimt: la donna, protagonista di ritratti ed opere mitologiche, e la natura che caratterizza i numerosi paesaggi dipinti nei mesi estivi sull’Attersee. Per Casorati questo rappresenta solo un momento di passaggio nell’evoluzione del suo linguaggio artistico che denota però una eccezionale sensibilità compositiva.
Il 1912 fu un anno importante per Casorati che realizzò opere in cui è evidente la ricerca di una sintesi tra simbolismo e realismo tradotta in forme nitide, psicologicamente straniate, accompagnate da un aspetto tecnico complesso ed elaborato: il pittore usava infatti colori stemperati con glicerina che velava con cera trasparente. Questo è il periodo de Le signorine, opera con la quale partecipò nel 1912 alla XI Biennale di Venezia, dei celebri La ragazza sul tappeto rosso.
La voglia di una pittura non confinata nei musei, libera dai vecchi canoni, portò Casorati ad avvicinarsi a un gruppo di artisti e amatori d'arte che lavoravano per rendere quotidiana ogni immagine artistica: nel 1913 , infatti , Casorati tenne una mostra personale alla Mostra degli artisti della Galleria Ca' Pesaro, dove partecipò per la prima volta con 41 opere. La Galleria Ca' Pesaro era un luogo di estrema importanza nel panorama artistico italiano di quegli anni, che ebbe il merito di riunire e dare ampio spazio alle ricerche sperimentali di giovani artisti, in opposizione all'arte accademica vigente e che aveva nella Biennale la sua roccaforte superba ed inaccessibile.
Durante questa esposizione veneziana, Casorati entrò in contatto con gli artisti di Ca' Pesaro Arturo MartiniGino RossiUmberto Moggioli, Pio Semeghini, il cui orientamento europeo lo introdusse ai recenti sviluppi artistici di Parigi e Monaco e realizzò una serie di tempere, acqueforti, acquetinte e puntesecche di impronta visionaria, aderenti al dettato Secessionista.
Nel 1914 a Verona fondò la rivista La Via Lattea, alla quale collaborò con illustrazioni di stile art nouveau alla maniera di Jan Toorop e Aubrey Beardsley. Del 1914 è anche La preghiera soprattutto quest’ultimo rivela il picchiettio pullulante dei fiori, sua caratteristica, e la stilizzazione lineare della figura femminile; l’anno successivo tenne una mostra individuale alla Secessione Romana.
Con l’entrata dell’Italia nella Prima guerra mondiale, Casorati fu richiamato alle armi e, nei tre anni di guerra, riuscì a dipingere solo due grandi pannelli per la mensa ufficiali e l'inquietante dipinto antimilitarista Giocattoli. Nonostante il suo sostanziale allineamento con le correnti in auge, Casorati si garantì sempre ampi spazi di autonomia, portando avanti una riflessione solitaria e disposta ad improvvisi, frequenti e imprevisti cambiamenti di stile come per esempio accade per i dipinti Giocattoli del 1915 e Tiro al bersaglio del 1919, entrambi in collezioni private, che, nonostante la giocosità dei soggetti e la vivida esuberanza dei colori, comunicano all'osservatore una sensazione di desolazione, di abbandono e di imperscrutabile solitudine.
Nel frattempo, nel 1918 cinque diversi trattati di pace concludevano gli scontri della Prima guerra mondiale. Il lento e difficile ritorno alla normalità portò con sé un profondo bisogno di quiete, della rassicurante familiarità delle cose conosciute, in una sola parola c’era bisogno di ordine.
Il panorama culturale ed artistico recepì questa profonda bisogno collettivo: l'esuberanza sfrenata delle avanguardie artistiche maturate prima della guerra – Espressionismo, Cubismo, Futurismo, Dadaismo –, la loro carica irrazionale e violentemente eversiva talvolta perfino distruttiva, la loro smania di novità a tutti i costi, cominciavano ad essere considerate come qualcosa da seppellire in fretta, quasi fossero esse stesse responsabili di avere fecondato quel terreno su cui il seme della guerra non faticò ad attecchire.
Ecco allora che alla tensione esasperata verso il futuro e all'imperativo della sperimentazione che avevano caratterizzato l'arte del primo quindicennio del Novecento, si sostituì, negli anni Venti, un movimento opposto, passato alla storia come il Ritorno all'ordine.
L’antico diventava così una sorta di rifugio verso il quale lo sguardo degli artisti si volse all'unisono, in cerca di calme certezze, di sobri equilibri, nei quali riscoprire e rimettere in pratica i valori tradizionali dell'arte; fu questa una tendenza generale che percorse l'Europa, ma che raggiunse la sua massima espressione proprio in Italia.
Nel 1918, morto tragicamente suicida il padre nel 1917 e finita la guerra, Casorati si trasferì con la famiglia a Torino in Via Mazzini 52.
Torino era una città culturalmente viva, ma allo stesso tempo riservata, venata di una sottile malinconia e ordinatamente composta, che rifletteva puntualmente la personalità di Casorati. Da  poco congedato dall’esercito, Casorati era già un artista relativamente affermato, ma già vicino all'inaugurazione della sua stagione creativamente più significativa e matura, che lo vide non a caso tra i massimi esponenti dell'arte italiana degli anni Venti.
In questi anni Casorati, diventò una figura centrale nei circoli intellettuali ed il centro della vita artistica di Torino, sensibile al lavoro dei giovani artisti, mentre il suo stile continuò nella sua evoluzione ispirandosi ai grandi maestri del Quattrocento Italiano, come Mantegna e Raffaello, realizzando opere di grande limpidezza e misura, nelle quali affiora l'immobilità tipica di Piero della Francesca, decisamente antidecadenti: al dettaglio decorativo si sostituì la meditazione di una forma essenziale, influenzata dalle costruzioni spaziali matematiche della pittura quattrocentesca e dall'atmosfera di immobilità tipica dell'opera di Piero.
La sua pittura cominciò a semplificarsi, a diventare severa, rinchiusa in uno spazio prospettico sottolineato da un assoluto equilibro cromatico. Nelle opere della maturità, in particolare nel periodo post bellico, Casorati diede vita ad alcune delle sue opere più mature, veri e propri manifesti di un'arte intenta a riscoprire i valori dimenticati dell'antichità classica come l’armonia delle forme, la geometrica partizione degli spazi e le nitide volumetrie.
Nel corso di questo decennio andò sempre più assumendo un ruolo guida nella vita culturale italiana: lo raccontano opere della sua maturità artistica.
La donna e l'armatura del 1921 è uno dei dipinti più noti del primo periodo torinese di Casorati. Il dipinto è giocato su una serie di contrasti: la luce fredda della finestra e la luce calda della carne, il caotico e rigido dell'armatura e il tondeggiante e molliccio della figura come già notava Piero Gobetti nel 1923. In quest’opera Casorati sembra aver risolto le tensioni espressive che affiorano – seppur rigidamente controllate – nella Ragazza con la scodella o nel L'uomo delle botti, degli anni immediatamente precedenti. Rimane il senso di fissità dell'immagine – amplificato dallo sguardo immobile della donna –, ma il chiaro scuro, pur molto accentuato non crea un effetto drammatizzante.
Del 1922 è il Ritratto di Riccardo Gualino il mecenate e imprenditore delle arti, fondatore del Teatro di Torino.
Ancora del 1922 è un capolavoro: il Ritratto di Silvana Cenni.
Del 1923 è un altro capolavoro: Meriggio.
La maestosa composizione verticale dedicata alla figura di Silvana Cenni rimanda immediatamente al recupero di nitidezza e misura compositive tipiche della pittura quattrocentesca italiana, il cosiddetto Neo-quattrocentismo, che contraddistinse la poetica di non solo di Casorati, ma di molti altri pittori.
Nel Ritratto di Silvana Cenni il riferimento è chiaramente individuabile: la posa solenne ed immota, l'espressione severa del volto e lo sguardo rivolto verso il basso rimandano incontrovertibilmente alla figura della Madonna rappresentata da Piero della Francesca nella Sacra Conversazione; il pesante panneggio della stoffa che occulta la sedia su cui è seduta la donna, rendendola simile ad un trono ci parlano di una pittura che persegue una limpidezza plastica assoluta, raggiunta grazie ad un sapiente uso di effetti di luce radente, tersa e cristallina, e di geometrie rigorose evidenziate anche dall'essenzialità incorruttibile della veduta architettonica che si scorge dalla finestra.

Tutti questi elementi si possono rilevare anche in Meriggio, in cui la luminosità tagliente e chiarificatrice di un pomeriggio che immaginiamo afoso e sonnolento modella con la nitidezza di uno scalpello i corpi nudi delle donne, una delle quali, ricalca nella posa l'ardito scorcio prospettico che fu del celebre Cristo Morto del Mantegna, quasi come una citazione.
In tutti e due i dipinti si notano oggetti quotidiani abbandonati sul pavimento in maniera apparentemente distratta e casuale; si tratta di elementi che concorrono consapevolmente al raggiungimento di quell'atmosfera tipica di un altro fondamentale tassello del fenomeno artistico del Ritorno all'ordine nell'ambito del quale Casorati fu maestro: il Realismo magico.
La poetica del Realismo magico si espanse a macchia d'olio in ambito internazionale – dalla letteratura al cinema –, in pittura il Realismo magico raggiunse esiti davvero magici soprattutto in Italia dove il maggior interprete fu probabilmente Antonio Donghi e in Germania.
Il recupero dei valori classici del primo Rinascimento si accompagna qui ad una indifferenza magica e vagamente opprimente di stampo metafisico: nelle rappresentazioni non c’è mai niente che contraddica palesemente la plausibilità e la verosimiglianza del reale; eppure, grazie a minimi accorgimenti, i due dipinti comunicano sensazioni di attonito incanto, di lieve inquietudine, discreta e appena suggerita, fino a somigliare talvolta a visioni stralunate; conservando tuttavia una tecnica pittorica del tutto connessa alla tradizione, contraddistinta da un'estrema lucidità e limpidezza rappresentative.
Osservando dipinti come Silvana Cenni e Meriggio, si comprende come il fenomeno del Ritorno all'ordine, al di là delle implicazioni politiche con il Fascismo, sia stato in grado di superare ampiamente i confini della tradizione per dar vita ad opere innegabilmente moderne nel loro essere in grado di svelare il lato meraviglioso ed enigmatico del più banale vivere quotidiano, in cui una donna seduta può tramutarsi in misterioso e regale oracolo in procinto di emanare chissà quale vaticinio, e un pomeriggio abbagliante e immobile può diventare teatro di un convegno di ninfe appena sorte dalle acque.
L’attività di Casorati era instancabile: nel 1923 nel suo stesso studio aprì una scuola di pittura per giovani artisti, un'esperienza completamente nuova e lontana da ogni sistematicità d'accademia, la scuola di via Mazzini: nasceva la scuola di Casorati[1]. Tra gli allievi ebbe Francesco MenzioCarlo LeviGigi ChessaJessie Boswell, che in seguito fecero parte del gruppo dei Sei pittori di Torino.
Della scuola di Casorati, che creò uno scandalo nei confronti degli ammirati maestri locali Giacomo Grosso (1838- 1930), Pietro Canonica (1869 – 1959), Leonardo Bistolfi (1859 – 1933),  Vittorio Cavalieri  (1860-1938), ha lasciato vivissima testimonianza Lalla Romano (1906 – 2001), che fu sua allieva dal 1928 al 1931, nel romanzo Una giovinezza inventata del 1979.
Scrive la Romano: «Quando mi vide la prima volta, Casorati disse soltanto, fissandomi con gli occhi neri penetranti, sotto le sopracciglia folte: Qui facciamo sul serio». E ancora: «Gli allievi erano sparsi, coi loro cavalletti, nelle varie stanze imbiancate a calce, vuote: qualche sedia impagliata, qualche busto di gesso, in terra. In uno stanzino erano appesi i grembiuli di tela grigia».
La scuola di Casorati, il cui magistero s’improntava all’ordine e alla razionalità, rifletteva la misura e l’equilibrio rigoroso della sua pittura, secondo il motto scelto a insegna del suo lavoro: Numerus, Mensura, Pondus. Ben si comprende come Casorati si legasse d’amicizia, cementata dal comune antifascismo, con un personaggio come Piero Gobetti, che gli dedicò un saggio nel 1923 cercando di dimostrare «che la sua pittura non è decorativa, né letteraria, né manca, come alcuni gli rimproverano, di umanità. Si sente una classicità vera, non le intenzioni dei metafisici».
Nel 1924 Casorati tenne una personale alla Biennale, accompagnata da un autorevole saggio di presentazione in catalogo di Lionello Venturi.
Nel Duplice ritratto del 1924 il dettaglio decorativo è sostituito da un preciso disegno e da un rigore formale ispirato alla pittura quattrocentesca, in particolare a Piero della Francesca.
Nel 1925 fu tra i fondatori della Società di Belle Arti Antonio Fontanesi della quale egli fu anche Presidente per promuovere mostre di artisti italiani e stranieri dell'Ottocento e contemporanei. L'amicizia con l'industriale e collezionista Riccardo Gualino incoraggiò l'interesse di Casorati per il design di interni. Sempre nel 1925 lavorò con Alberto Sartoris al teatrino di casa Gualino.
Del 1925 è un altro capolavoro: la Conversazione platonica. Nel muto riflettere di quell’uomo  senza volto sul corpo nudo di una donna vi è qualcosa di molto più forte e conturbante delle provocazioni sociali di Gustave Courbet, si pensi a L’origine della vita e al Sogno.  In questa bellissima immagine che mostra il corpo nudo di una donna sdraiata su un letto che con aria invitante osserva l'uomo seduto vicino a lei, in abito scuro, il volto coperto da un cappello che lascia scoperto solo il mento su cui poggia una mano in atteggiamento pensoso ed incerto. Il senso di attesa è la prima sensazione che si prova, osservandolo, ma il contrasto tra i due corpi, l'uno completamente vestito, scuro, composto, l'altro nudo, rilassato e in primo piano, provocano una sorta di disagio misto a stupore. Il messaggio di lei è esplicito, eppure lui è trattenuto. Questo strano contrasto attrae lo spettatore, lo sconcerta e ne cattura un'attenzione carica di curiosità e ricca di ipotesi. Ogni opera racchiude significati nascosti, in chiave metafisica questi si moltiplicano all'infinito. Ognuno può dare la spiegazione che crede. Tra le più immediate senza dubbio spicca un'evidente dualità, dei sessi, innanzi tutto. La donna è senza dubbio di natura più istintiva e fisica, l'uomo invece tende a razionalizzare. Può essere quindi un'allegoria dei due modi diversi di essere. Quello femminile e quello maschile. O una pura e semplice raffigurazione di istinto e ragione resi attraverso le forme del femminile al naturale e del maschile in sembianze civilizzate, molto borghesi. Ma è anche una critica, nei confronti di un atteggiamento repressivo dettato dal pensiero che non permette di assecondare il desiderio, facendo perdere all'uomo l'opportunità di essere felice. La donna(istinto) infatti ha nel contesto una preminenza sia fisica (è in primo piano e padrona della scena) che mentale (perfettamente rilassata e propositiva). L'uomo invece è defilato, quasi nascosto e trattenuto, dubbioso, passivo.
Il grande effetto dell'opera è dato proprio dal punto interrogativo che metaforicamente l'autore ha messo in evidenza: resterà una semplice conversazione platonica, o si evolverà in qualcosa di più carnale?
Ad ogni buon conto Casorati  mostra un controllo formale filtrato attraverso una visione intellettuale che annulla nell’artificio l’impressione di naturalezza e così apre al mistero. Non illustra niente, descrive con rara facoltà di percezione situazioni psicologiche turbate. Vi è in lui una mestizia metafisica che respinge. Fa venire in mente una Torino fosca, niente affatto solare.
Tuttavia questi erano anche gli anni in cui ogni istanza di Ritorno all'ordine finiva inevitabilmente per confluire nel gruppo Novecento italiano, guidato dall'instancabile vivacità organizzatrice di Margherita Sarfatti: un gruppo approvato dal Fascismo nel quale coesisteva però una moltitudine di stili, linguaggi, intenzioni e fedi politiche, più o meno disposta al compromesso dalla necessità di mantenere una visibilità nell'ambito del panorama culturale italiano di quei difficili anni.
Alla Prima Mostra del Novecento italiano tenuta a Milano nel 1926 parteciparono oltre cento artisti, da Sironi a De Chirico, da Carrà a Casorati. Il pittore, pur partecipando alle mostre di Novecento italiano del 1926 e del 1929, Casorati si mantenne tuttavia autonomo rispetto al movimento di Margherita Sarfatti. Nella sua evoluzione novecentista, Casorati cominciò a stemperare la sua nota malinconica freddezza in una luminosità emozionale alla luce di una rigorosa attenzione alla struttura compositiva, alla misura e all'armonia dei valori plastici e cromatici. La purezza cristallina e il tono enigmatico delle composizioni di Casorati contribuirono a delineare il realismo magico, condiviso in origine dal gruppo di Novecento.
Nel 1927, Casorati organizzò una mostra d'arte contemporanea ospitata dal Museo Rath di Ginevra. Dal 1928 fu incaricato della cattedra di Arredamento e decorazione di interni presso l'Accademia Albertina di Torino e nel 1933 iniziò una collaborazione con il Maggio Fiorentino come scenografo e costumista. Nel luglio del  1930 sposò Daphne Maugham  (1897 – 1982), che frequentava la sua scuola dal 1926.
A partire dal 1928 la malinconica freddezza delle opere di Casorati lasciò il posto ad un disegno più fluido e ad una ricerca cromatica più intensa, assumendo quella compostezza nitida e straniata che è stata definita realistico-metafisica, mentre il colore si arricchisce di tonalità più calde e contrastate, dando ai dipinti nuove implicazioni emozionali evidenti in opere come Vocazione del 1939.

Gli anni Trenta il suo lavoro subì un'ulteriore evoluzione. Sono gli anni in cui lavora sollecitamente per il teatro che accompagnò per molti anni l'attività di scenografo a quella di pittore. Progettò inoltre l'atrio della Mostra dell'architettura alla Triennale di Milano del 1933. Il 2 luglio del 1934 nacque il figlio Francesco che diventò pittore anche lui nello stesso anno disegnò le scene e i costumi per Orfeo, di Claudio Monteverdi.
Nel 1935 Felice Casorati, sottolineando le sue preferenze, ospitò nel proprio studio la prima Collettiva d'arte astratta italiana alla quale parteciparono tra gli altri Fontana, Melotti e Licini.
Alla fine degli anni trenta Casorati ottenne riconoscimenti ufficiali anche alle grandi esposizioni di Parigi, Pittsburgh e San Francisco: nel 1937 ricevette il Premio Carnegie a Pittsburg, nel 1938, Casorati vinse il Premio per la pittura alla Biennale di Venezia ed Grand prix a Parigi, nel 1939 gli fu conferito il Premio Pittura all'Esposizione Internazionale d'Arte di San Francisco.
Il 1° ottobre 1941 fu nominato titolare della Cattedra di Pittura all'Accademia Albertina di Torino, della quale diventò Direttore nel 1952.
Ancora Casorati vinse Premio per la pittura alla Biennale di Venezia del 1942.
Fu particolarmente attivo nella creazione di scene e costumi per il Teatro dell'Opera di Roma, per il Teatro alla Scala di Milano e per il Maggio musicale fiorentino, attività che proseguì anche nel dopoguerra.

Nel 1948 fece parte della commissione d'accettazione della sezione italiana della Biennale di Venezia.
La fama che allora lo circondava indusse l’imprenditore Giuseppe Verzocchi, a contattarlo alla fine degli anni Quaranta, per contribuire alla sua collezione sul lavoro nella pittura contemporanea:  nel clima operoso della ricostruzione postbellica, ideò e promosse la raccolta che prese il suo nome, invitando circa settanta pittori italiani, appartenenti alle più varie scuole artistiche, a realizzare un quadro, di dimensioni prefissate, sul tema del lavoro. Nelle composizioni realizzate, come egli aveva richiesto, era sempre presente il tipico prodotto dell'azienda: un mattone refrattario con il logo V&D.
Nel 1952 tenne una personale alla Biennale con Ottone Rosai, e con Ottone Rosai, ricevette il premio speciale della Presidenza.
Nel 1961 un embolo gli arrestò il flusso della gamba sinistra: i medici furono costretti ad amputare l'arto. Nonostante gli avessero amputato una gamba, Casorati continuò a lavorare e ad esporre: approntò quattro dipinti per una mostra itinerante in Germania e 17 opere per la XXXI Biennale di Venezia del 1962, nella sezione dedicata alla Grafica Simbolista Italiana.
Il 1° marzo 1963, dopo un'agonia di oltre 20 giorni, Felice Casorati morì nel suo studio, assistito dalla moglie Daphne, dal figlio Francesco, dalla sorella Pina, dal Dott. Tullio Grassi, dal Dott. Giuseppe Bartasso e altri fedeli amici.
Casorati è stato il pittore torinese per eccellenza, capace di descrivere con le sue figure atmosfere riconducibili agli interni della realtà sabauda. «È difficile oggi capire cosa significasse, nella Torino di allora, del tutto aliena dalla conoscenza di che cosa potesse essere l’arte moderna, l’arrivo di Casorati. Era l’arrivo di un grande maestro, di un essere di un altro mondo, di natura diversa da quella nota, di qualcuno che parlava un’altra lingua, i cui suoni meravigliavano». Con queste parole Carlo Levi ricordò Casorati in occasione della sua scomparsa. Una metafisica da stanza chiusa dove i soggetti dialogano muti solo grazie a pochi ma significativi gesti, nel pieno rispetto della forma e dell’equilibrio.
Parlando della sua scuola scrisse: «Sentivo come un dovere di mettermi al servizio di chi cerca una strada e stenta a trovarla. Cercavo di fare una penitenza al peccato di aver riguardato il mio lavoro sotto l’aspetto della solitudine, dell’incomprensione, dell’eccezionalità».
Massimo Capuozzo

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[1] Più tardi Casorati accolse anche il pittore piemontese Enrico Accatino e la pittrice modenese Ida Donati Formiggini, moglie del deputato socialista Pio Donati.
A Torino allievi con cui esporrà nel 1929 alla mostra "Casorati fra i discepoli", accompagnata da un testo di Giacomo Debenedetti in cui sono ricordati, tra gli allievi, Silvio Avondo, Nella Marchesini, Daphne Maugham, Marisa Mori, Andrea Cefaly junior, Sergio Bonfantini, Albino Galvano, Paola Levi Montalcini, Lalla Romano, Riccardo Chicco.

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